COSA FARE A MONTESPERTOLI

UN TERRITORIO DA VIVERE
E SCOPRIRE A PASSO D'UOMO

Montegufoni e le sue fonti

L’itinerario

Dopo aver lasciato l’auto al parcheggio di Montegufoni e prima di iniziare il percorso, si consiglia una breve deviazione per osservare da vicino gli esterni del castello degli Acciaioli; ciò consentirà di apprezzare l’eleganza e la solennità di quella che è una delle principali attrattive storico-artistiche del Comune di Montespertoli.
Il percorso inizia dal parcheggio e poco dopo supera l’incrocio con le due grandi statue animali (un leone e una lupa) deputate, un tempo, ad avvertire il viandante dell’ingresso nella tenuta di Montegufoni, nobile residenza di una delle famiglie più importanti nella Firenze medievale e rinascimentale. Nei pressi delle due statue, lungo la strada che scende alla villa, una breve deviazione conduce ai resti della fonte di Montegufoni seminascosta dalla vegetazione. Parrebbe un’emergenza di poca importanza, soprattutto se confrontata all’imponenza della villa Acciaioli, eppure è questo uno dei luoghi vitali dove per secoli si è appuntata l’identificazione profonda della piccola comunità locale. La litologia del terreno permette infatti l’affioramento di consistenti quantitativi di acqua utilizzati dalla comunità locale sia attraverso il sistema del fontanile, sia forse anche mediante altri sistemi imputati a gestire il trasporto dell’acqua verso la villa-castello.
Torniamo leggermente indietro, superiamo le due statue proseguendo sulla viabilità comunale che ci mostra quasi subito l’ottocentesca Villa delle Calvane (oggi resort) contornata di cipressi, oltre la quale, specialmente se la giornata è tersa, conviene soffermarsi un attimo ad ammirare il ventaglio delle più alte montagne toscane che si para di fronte, nonostante la mediocre altitudine a cui ci troviamo (186 metri slm): da sinistra a destra si possono ammirare le Alpi Apuane e poi gli Appennini con il Monte Giovi, l’Alpe delle Tre Potenze, il Cimone ed il Corno alle Scale. Più vicino a noi e più in basso del crinale appenninico, si trova il crinale che divide la Valdipesa dalla conca fiorentina con i poggi boscosi della Roveta. Alla nostra destra, ancora più vicino, la piccola valle del borro delle Borraia, con la strada vicinale che percorre il piccolo crinale dove si trova la cinquecentesca villa del Turco, in un paesaggio ormai banalizzato da moderni vigneti posti l’uno di seguito all’altro.
Un piccolo ponticino in mattoni ospita un secondo luogo deputato alla memoria collettiva e al processo di identificazione locale: il cippo in ricordo del partigiano Settimo Agostini ucciso in questo luogo il 27 luglio 1944 durante uno scontro a fuoco con i tedeschi.
Deviando poco dopo dalla viabilità comunale aggiriamo da sinistra il soprastante Poggio al Forno (oggi Poggio al Pipi) che un tempo, a causa della sua rilevanza morfologica, costituiva il centro di un paesaggio costruito dall’uomo da dove si dipartivano geometriche linee che disegnavano i piccoli e numerosi appezzamenti ognuno dedicato ad una coltivazione diversa nell’ottica della poliagricoltura mezzadrile. Le foto aeree degli anni ’50-’60 del secolo scorso restituiscono bene questa immagine.
Oggi invece, le immagini che rimanda Maps, sono quelle di un paesaggio del tutto banalizzato, fatto di soli vigneti a rittochino; solo le isole di bosco, confinate negli impluvi dei piccoli corsi d’acqua, hanno mantenuto lo stesso disegno dei secoli passati.
Si scende verso quello che un tempo era il nucleo rurale di Sant’Andrea al Colle, sede dell’omonima chiesa soppressa ed annessa a San Lorenzo a Montegufoni nel 1583; ridotta al rango di semplice oratorio, vi sono state celebrate funzioni religiose fino agli anni ’50 del secolo scorso. Camminando rivolti verso Ovest, la vista si allarga sul versante opposto della valle del Virginio, posto fra il Piano di Cencio, le Masse e Morzano, interessato da ampie zone di territorio abbandonato con estesi movimenti franosi e cave di argilla ormai dismesse per le necessità della sottostante moderna fornace. Giunti nei pressi di Sant’Andrea, si prosegue continuando a scendere di quota, fiancheggiando il bosco e sfiorando l’ex-complesso colonico di Cantagrilli, dove l’itinerario – proseguendo su una strada interpoderale – inizia a scendere in forte pendenza verso il bosco fino ad affacciarsi, uscendo dalla vegetazione, sul fondo valle del Virginio percorso dalla strada provinciale.
Il nostro percorso si mantiene a debita distanza dalla moderna viabilità continuando sotto poggio fino a condurci presso una moderna e anonima (a prima vista) costruzione.
In realtà tanto anonima non è avendo alle spalle una storia lunga alcuni secoli ed una funzione importante ovvero quella di mulino. Si tratta infatti del Molinuzzo, un ex mulino degli Acciaioli, che si alimentava tramite il picco rio che ancora oggi lo sfiora provenendo dai campi soprastanti.
Saliamo al piccolo cimitero di Montegufoni con, a sinistra, il profilo della torre della villa ben visibile ad indicarci l’obiettivo finale dell’itinerario. Prima di arrivare all’elegante complesso, alla nostra sinistra si nota un boschetto di fondovalle (dove scorre il borro delle Calvane) citato nell’antica cartografia lorenese di inizio Ottocento come Ragnaia; la retrostante collina coperta dalla pineta compare invece denominata sempre nella cartografia ottocentesca come Uccellare. Entrambi questi termini indicano antichi luoghi di caccia connessi alla presenza di una villa-fattoria padronale che aveva sempre nelle sue immediate vicinanze zone deputate alla cacciagione degli uccelli, in ricordo dell’importanza che la pratica venatoria aveva avuto nei secoli precedenti, quando costituiva il biglietto da visita delle teste coronate europee, compresi i Medici.
Si giunge alla chiesa di San Lorenzo a Montegufoni, risalente al XIII secolo che adesso mostra le forme dell’ultimo ampliamento seicentesco; si lambisce la villa, si supera un tabernacolo realizzato nel centenario delle apparizioni della Madonna di Lourdes, utilizzando una bifora trecentesca proveniente dal castello e poco dopo raggiungiamo il parcheggio dove termina il percorso.

Il Cedrone di Baccaiano detto Yanbae

Presenza discreta, seppure nella sua considerevole mole, questo grande Cedro appare come un Gigante Buono, nel giardino antistante la ex sede della Panetteria Piazzini e Bertelli, ora proprietà Sacco. Nonostante il suo considerevole sviluppo, pare non sia neanche centenario.
Racconta l’attuale proprietaria che negli anni ‘60 quest’albero ha subito un importante intervento nel tentativo, riuscito, di salvarlo, poiché stava rischiando di morire. A questo pare sia dovuto l’aspetto assunto in ricrescita, con lo sviluppo dei rami “a candelabro” già dal basso. Non ha poi subito ulteriori interventi, né potature, ed è stato lasciato libero di svilupparsi in modo naturale. È un Cedro del Libano, Cedrus libani della fam. delle pinacee, e il suo nome deriva dal greco keo, che significa versare, nome dato a tutte le conifere dalla cui corteccia fuoriesce un liquido resinoso. Originario del Mediterraneo Orientale, cresce spontaneo nelle montagne del Libano, della Siria e in Turchia meridionale (monti Tauro) ed è coltivato in parchi e giardini di tutta Europa dalla fine del Settecento. Proprio a questa sua origine si sono ispirati i nuovi proprietari nel dare affettuosamente un nome a questo che è diventato da subito un loro grande amico: Yanbae (pronuncia Yanbo) che in arabo significa “fusto”. I Cedri considerati più belli e spettacolari sono quelli che si trovano in Libano, precisamente nella Foresta dei cedri di Dio (situata 2050 m circa di altezza sul livello del mare), che è Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Per la protezione di questa pianta, il governo libanese ha istituito tre aree protette: la riserva dei Cedri dello Shuf, la riserva di Horsh Eden e la riserva delle foreste di Tannourine. È infatti un albero sacro, citato settantadue volte nelle Sacre Scritture, simbolo di fermezza, di bellezza, di sapienza, di grandezza d’animo ed elevazione spirituale, rappresenta il “giusto”. Tanto è preziosa questa pianta nelle diverse culture e religioni, da dover essere custodita gelosamente perché vicina al divino.

Il vecchio Platano di Baccaiano

Fu piantato nel 1925 dalla nonna materna dell’attuale proprietaria del bar.
Quante cose potrebbe raccontare questo Platano che nel 2025 compirà 100 anni! Purtroppo gli anziani del posto, coloro che potrebbero custodire memorie e raccontare aneddoti, adesso non ci son più! Il tessuto sociale sta perdendo la struttura, con nuovi apporti in continuo ricambio, che compromettono l’identità locale, pur arricchendola di nuova linfa.
Un aneddoto lo riporta, per sentito dire, un abitante che ricorda il salvataggio di un grosso camion finito nel torrente quando durante la guerra fu fatto saltare il ponticino.
“Questo è più di un albero! è una memoria storica.
E’ tanto forte che allora per tirar fuori il camion fu legata una corda al suo tronco, che era già molto robusto… questo avrà radici che si estendono molto, è ben radicato e, anche se l’aiuola è piccola, prende acqua dal sottostante torrente”.
Il Platano ha crescita rapida, ma questo forse deve il suo sviluppo alla vicinanza al corso d’acqua. Viene potato ogni 3 anni con il sistema “a testa di salice” proprio perché per la sua crescita veloce i suoi rami raggiungono l’abitazione e si sporgono sulla strada.
Per gli alberi in ambiente urbano e soprattutto per quelli piantati vicino alle abitazioni, spesso non considerando e prevedendo il loro futuro sviluppo, occorre trovare un equilibrio per una giusta convivenza tra alberi e umani.
È un albero caro agli abitanti di Baccaiano che, fino a pochi anni fa, si ritrovavano l’estate a chiacchiera, anche fin tarda notte, sotto le sue fronde che, con la loro presenza silenziosa e protettiva, rendevano ancor più accogliente il ritrovo del bar, che ancora oggi porta il nome “il Vecchio Platano”.
Le notizie sono state cortesemente fornite dall’ing. Andrea Pestelli. Il nonno di sua moglie Adolfo Paciscopi aveva un appalto (bottega alimentare) al castello di Montegufoni dove abitava una trentina di famiglie, sfrattate all’inizio del ‘900 e che si insediarono alla confluenza del Virginio e del borro Baccaiano, nel punto di crocevia tra la Volterrana e la Via nuova del Virginio. E così nacque il nuovo abitato che prese nome dal borro. Il nonno costruì la casa nel 1924 e vi trasferì la bottega. Fu la moglie Emilia Bianchi che volle piantare un albero.

Gallery

Informazioni

DOVE
Parte E-NE del territorio comunale; castello di Montegufoni
TEMPO DI PERCORRENZA
1h 20′
TEMPO DI PERCORRENZA CON LE SOSTE
2h
LUNGHEZZA DEL PERCORSO
km 4,6
DISLIVELLO
↑ in salita 175 m
↓ in discesa 175 m
GRADO DI DIFFICOLTÀ
facile
TIPOLOGIA DELLA PASSEGGIATA
paesaggistica e storico-architettonica; percorso ad anello
RIFORNIMENTI DI ACQUA LUNGO IL PERCORSO
si, al fontanello pubblico presso la chiesa di san Lorenzo oppure presso alcune abitazioni che si incontrano.
ALCUNI CONSIGLI PRATICI
Durante la stagione estiva si sconsiglia di percorrere questo itinerario nella parte centrale della giornata. Nel periodo autunno-invernale e primaverile va bene qualsiasi momento della giornata.

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